La parola magica

un canto dorme in tutte le cose che continuano a sognare

e il mondo comincia a cantare

se tu soltanto troverai la parola magica

Joseph von Eichendorff

Canto e vita, un binomio inscindibile in molte delle più antiche tradizioni; la parola magica che apre le porte della meraviglia e del senso più profondo dell’esistenza.

La magia della vita; pare ormai una semplice invenzione linguistica o una credenza da bifolchi, ma la vita che stiamo vivendo noi, civilissimi occidentali, ci permette forse di elevarci per respirare la pura aria delle vette dello spirito, per non parlare di quelle del pensiero?

A me sembra che, invece, l’aver respinto l’idea di Dio, aver offuscato la divinità presente in ogni cosa, in ogni essere, ci abbia defraudati di gran parte della ricchezza del’esistenza. La divinità non abita più il mondo, i sacro è sparito e poi abbiamo persino la faccia tosta di domandarci come sia possibile non avere rispetto per la vita. Senza sacro, l’essere umano stesso perde il proprio valore intrinseco, riducendosi a cosa tra cose, intercambiabile, riutilizzabile, ingegnerizzabile.

Dio è morto e noi lo abbiamo ucciso.

Per alcuni questa è, indubbiamente, una buona notizia; questi alcuni, però, non si rendono conto di aver sostituito a Dio qualcos’altro: la scienza, la tecnica, l’edonismo, sé stessi. La mentalità dietro questa sostituzione è la medesima, a cambiare è soltanto la forma.

Bruce Chatwin, nel suo Le vie dei canti, descrive le credenze dei popoli originari dell’Australia, uno dei più antichi ancora oggi viventi; i canti sono la riattualizzazione dei miti della creazione e, soprattutto, i sentieri che costellano l’intero territorio australiano. I canti servono per muoversi, per non perdersi, per rendere omaggio agli spiriti ancestrali.

Quei canti, quindi, sono fondamentali per vivere.

Torno sempre alla musica; in occidente abbiamo reso persino quest’ultima una merce tra le tante, un’attività lavorativa in cui, per ottenere un guadagno, occorre ridurre la creatività all’esecuzione standardizzata di alcuni elementi, scelti dai cosiddetti discografici.

E allora la canzone deve durare 3 minuti e mezzo al massimo, se no in radio non può passare. Deve essere tendenzialmente in tonalità maggiore d’estate, magari col terrificante ritmo reggaeton ad accompagnarlo. Strofa, ritornello, strofa, bridge, ritornello, chiusura. Gambe chilometriche, nei video, accompagnate da sguardi sensuali tesi a risvegliare una parte molto ristretta del corpo umano, sia maschile che femminile.

La magia della vita è stata sotterrata dalla terribile valanga del guadagno immediato ed adesso agonizza.

Ma, seppur agonizzante, è lì, che attende di essere ripulita dalle macerie del pensiero contemporaneo; io credo che, oggi, di fronte allo sfacelo dei valori, al capovolgimento dei significati, alla mercificazione incipiente di tutto l’esistente, non abbiamo altra scelta che rivolgerci, di nuovo, alla sacralità della natura.

Una natura che impiega un attimo a scrollarsi di dosso ogni nostra costruzione e ogni idolo, ma che chiede di essere riconosciuta come ciò che ci permette di vivere. Questa natura ci impone di riappropriarci del legame che a lei ci avvinghia, pena la distruzione dei brandelli di umanità che ancora sopravvivono nel mondo.

Io aggiungo:

riappropriarci della musica e dei canti, visti come sentieri per orientarci nel mondo.

La parola magica con cui sconfiggere tutti i draghi.

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