Abitudine, gabbia mentale

Abitudine e gabbia mentale, un binomio che sembra affermarsi e crescere giorno per giorno, in ogni ambito della vita.

Stamattina ho avuto un colloquio a Torino, per il quale mi sono potuto mettere in macchina con relativa calma. Arrivato all’imbocco dell’autostrada A32, un fiume di auto ferme. Poco male, mi sono detto, prenderò la statale 24: coda di diversi chilometri, troppe persone imbottigliate. Statale 25? Idem. Tutte e tre le strade che portano fuori dalla Valle di Susa erano bloccate. Bel problema. E grazie, Sitaf.

Idea: Trana, Reano, Villarbasse, Rivoli, quindi tangenziale. Nessun rallentamento, in 25 minuti ho raggiunto la mia destinazione.

Finalmente libero di camminare senza bruciare la frizione, mi sono trovato a pensare: con i doverosi distinguo e semplificando ingiustamente il ragionamento, ho ipotizzato perché il grosso delle persone in coda, evidentemente destinate a Torino, abbiano deciso di sorbirsi parecchi chilometri di traffico intenso senza escogitare alternative.

Forse la disattenzione e la conseguente impossibilità di invertire la rotta? L’assoluta necessità di utilizzare quella, e solo quella strada, per motivi ben precisi? Oppure l’abitudine di credere che tra un punto A ed uno B ci sia solo ed esclusivamente una via, ossia la più breve o la più comoda?

Da qui il pensiero si è fermato sul complesso concetto di abitudine, che penso stia ormai degenerando in una gabbia mentale capace di restringere tutti gli orizzonti e appiattire l’esperienza quotidiana. Quello che ho descritto qualche riga più su, però, è solo uno dei molteplici esempi che potrei citare per descrivere il rapporto stretto tra l’abitudinarietà e la gabbia mentale.

Parlando della mia esperienza quotidiana, tutte le volte in cui mi capita di lasciare al posto di guida della mia vita il pilota automatico, lui fa, giustamente, quello che gli riesce meglio con minore fatica, ossia il ripetere schemi collaudati che sono risultati utili in momenti precedenti della vita. Senza deviare, senza inventare. Oppure quando suono senza un’adeguata presenza mentale, tendo a riproporre sempre gli stessi ritmi, sempre gli stessi stacchi, sempre le stesse strutture.

In poche parole, uccido la creatività.

Ed eccoci giunti ad una di quelle parole ultra abusate il cui significato è, spesso, reso nebuloso, per farla forzarla a fungere da cappello con cui coprire evidenti vuoti di pensiero: mi sembra, dunque, utile fare un passo indietro per chiarire almeno questo punto: cosa vuol dire essere creativi?

Immagino tu conosca il detto impara l’arte e mettila da parte. Prendiamo il caso delle percussioni: occorre innanzitutto imparare la tecnica con la quale suonare quel determinato strumento, la relativa posizione delle mani, i punti sui quali colpire le pelli, la forza che occorre porvi, l’angolazione del colpo. Quanto tirare la pelle, come riconoscere in fretta l’umidità per correre ai ripari in caso di suo eccesso. Poi bisogna assimilarne il linguaggio peculiare, cioè i ritmi tradizionali uniti a quelli più moderni, con tutte le variazioni possibili.

Dopo aver accresciuto in tale modo la conoscenza dello strumento e del suo universo, allora bisognerebbe accantonare tutto per lasciarsi catturare dalla sensazione del momento, dall’atmosfera del brano, dall’ensemble con cui si condivide il palco. Ecco, in quel preciso momento avviene la magia della creatività: perché quando si è intensamente presenti, tutto l’immane lavoro fatto in precedenza si presenta alle mani con naturalezza, in armonia.

Creatività è, per me, ricombinazione dell’esistente in forme nuove, nella direzione del bello.

La possibilità di cadere nell’abitudine è sempre dietro l’angolo, però. Nel momento in cui mi mancasse lo studio o se esso si limitasse al minimo indispensabile; se per timore non riuscissi a lasciarmi andare al flusso, se le mani mi tremassero dalla paura di sbagliare, allora tenderei a riproporre gli stessi cliché, giorno dopo giorno, concerto dopo concerto, precludendomi la possibilità di vivere creativamente la vita.

Ogni giorno è diverso. Oggi io sono diverso da ieri. Di fronte allo specchio può anche apparirmi la stessa figura di sempre, ma qualcosa, più di quanto io immagini, è certamente diverso: le cellule nascono e muoiono rinnovando completamente il corpo, la barba cresce silenziosa e sbianca, gli occhi si colorano della sofferenza e della bellezza cui assisto ogni momento, i pensieri mutano costantemente, correndo veloci come ghepardi in cerca di preda. Di fronte allo specchio, oggi, l’uomo che mi guarda è un altro uomo. Avvolto da nuove possibilità.

E’ solo l’abitudine a precludermele.

Video “La devianza genera l’evoluzione”

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