Specializzazione. Una rovina.

Ho comprato, recentemente, due bei libri, dei quali conosco solo gli autori per averli già letti; Mircea Eliade con il suo “Il mito dell’eterno ritorno” e André Gorz con “Addio al lavoro”. Non parlerò di questi due brevi saggi, però. Lì cito perché, in entrambi, sfogliandoli, ho trovato un concetto nel quale mi sono imbattuto più volte nelle mie serate “pensierose”: la specializzazione.

La specializzazione.

Cito da Gorz: il potere per imporsi sul sapere necessita di specializzazione, di idiozia specialistica, di ignoranza. In Eliade, invece, nella premessa egli scrive di rivolgersi ad un NON specialista, adottando perciò un linguaggio meno tecnico.

La specializzazione ha permesso ai datori di lavoro di aumentare la produzione, riducendo al contempo le più ampie capacità degli operai. Ha ottenuto il risultato di avere lavoratori in grado di svolgere alla perfezione il proprio compitino, ignorando il quadro più grande nel quale questo compitino si andava inserendo.

La nascita della catena di montaggio è paradigmatica in tal senso; un operaio svolgeva un solo micro lavoro, ripetitivo e meccanico, velocizzando la produzione a discapito della propria qualità di vita. È notorio il danno che questo metodo di divisione del lavoro crei alle persone.

Estensione del concetto

Dalla fabbrica questo concetto si è esteso a tutti i campi; a partire dalla scuola, i compiti e le competenze sono stati sempre più settorializzati e sono nati gli esperti.

Il concetto, in sé, ha degli aspetti positivi, a mio avviso, e finché i vari specialisti si confrontano partendo da una posizione di parità si potrebbe convenire che il progresso della società sarebbe comunque garantito.

Il problema nasce quando una “materia” prende il sopravvento sulle altre.

Quando un esperto, o un gruppo di esperti, cominciano a dettare legge senza più tenere conto delle altre specialità. Ne abbiamo un esempio lampante in questi ultimi due anni; cosa sarebbe successo se nel cosiddetto comitato tecnico scientifico avessero avuto parola anche sociologi, filosofi, psicologi, esperti di comunicazione non violenta, storici, professori di diritto ecc, al pari dei soli che, invece, hanno pontificato?

La specializzazione spinta ha portato gli esseri umani a restringere il proprio campo visivo ad un minuscolo francobollo posto proprio davanti agli occhi, facendogli ignorare tutto il resto. Come si fa con i cavalli, quando gli si mettono i paraocchi.

Parliamo di musica, ad esempio; abbiamo dimenticato che tutti possono suonare, che tutti hanno il diritto di prendere uno strumento, impararne le basi e dilettarvisi sopra. Ho sentito spesso dire che “no, io non suono, non sono mica un musicista”. Se è per questo io non sono nemmeno un cuoco, ma cucino per la mia famiglia. Non pretendo di competere con Cannavacciuolo, ma il mio lo porto a casa sempre.

Mi viene in mente un musicista che, secondo me, è imprescindibile nel campo delle colonne sonore: Vangelis. Lui disse di avere cominciato da autodidatta e di non conoscere, tuttora, la scrittura e notazione musicale. Eppure i risultati ci sono e sono notevoli.

E questo è il messaggio che, da sempre, veicolo durante la conduzione di drum circles: tutti possiamo suonare, tutti possiamo concederci il piacere di farlo. Certo che Giovanni Hidalgo o Changuito sono di un altro pianeta ed infatti la loro musica è richiestissima.

Ma non vedo il perché rifiutarsi di fare qualcosa solo perché non in possesso di un foglio in grado di attestare la mia “competenza. Ci sono innumerevoli persone che, prive di titolo di studio ufficiale, sono delle autorità nella propria materia e sono ancor di più quelli che sono in grado di svolgere numerosi compiti, dall’aggiustare un impianto elettrico alla sistemazione di uno scarico idraulico, dal dipingere al cucinare bene.

La specializzazione ci ha rovinato la vita, ci ha ridotti a cavalli coi paraocchi, incapaci di apprezzare tutte le possibilità che abbiamo a portata di mano.

F.P.

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