Confuse parole in quest’osteria

suono o colore, a merce si riduce

tutto; freddi occhi affetti d’acoria.

Alla porta additano me; che luce.

Quel dito, mi sembra di ricordare,

voce nei recessi della memoria,

me, che da secoli annaspo nel mare

dell’inutilità e della miseria

Bezzi, su questo lurido tavolo.

La sorda oscurità mi fa indugiare,

una luce taglia sul primo piolo;

all’uomo che ero dovrei rinunciare.

Non ne vedo che il contorno sfumato;

sull’anima mia potente cresolo,

tra il prima e il dopo fulmineo iato

notte abbagliata dal canto d’assiolo.

Sono all’altezza di ciò che mi chiedi?

Un vano daziere su sé centrato

incapace di comandare ai piedi

di andar incontro al tuo dito allungato?

Basta. Il tavolo è ormai dietro, divelto.

Fuori l’aria e versi di citaredi.

E il molesto doppio svanisce svelto

nella fiducia che mi concedi,

Figlia mia.


Nella mia infinita presunzione ho pensato di mettere in poesia uno stupendo quadro di Michelangelo Merisi, detto Caravaggio: “La vocazione di San Matteo”.

Ho immaginato me nel ruolo del peccatore Matteo, intento a vivere una vita materiale ed insignificante; un me che riceve, però, la visita dello spirito di quella che diventerà mia figlia dopo la sua nascita. Una scelta, LA scelta, che ha cambiato radicalmente la mia vita. Una scelta difficilissima, dolorosa persino, ma che non cambierei per nulla al mondo, nonostante tutto.

Ed allora Vocatio N., che cita sia la vocazione del dipinto di Caravaggio che un bellissimo libro di Guido Morselli, Dissipatio HG, libro che consiglio caldamente, tra l’altro.

Hai voglia di dirmi cosa ne pensi?

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